Michele Cuppone, “detective in nome di Caravaggio”

La Natività di Palermo, sparita dal 1969. L’Ecce Homo apparso e ritirato a Madrid. Sono al centro di due nuovi libri uniti da acribia critica e d’indagine. Perché lo studioso è anche lui un investigatore e per sconfiggere il crimine serve sapere d’arte (articolo di Vittorio Sgarbi pubblicato su iO Donna del 17 luglio 2021)

Per un Caravaggio che appare (mi riferisco all’Ecce Homo proposto – e ritirato – a un’asta a Madrid, per 1500 euro), con un clamore tale da avermi indotto non solo a riconoscerlo, ma a scrivere un intero e lungo saggio storico-critico e sociologico (Ecce Caravaggio. Da Roberto Longhi a oggi, La Nave di Teseo ed.), un altro resta latitante, in mano ai sequestratori. Mi riferisco al dipinto rubato nell’oratorio di San Lorenzo a Palermo nel 1969, tra piccola criminalità e mafia. Ne siamo privi da più di 50 anni, e se ne parla con periodica frequenza, tra indiscrezioni e false piste, una delle quali ho percorso anch’io, trovandomi a recuperare un capolavoro rubato di Parmigianino. Ma Caravaggio aumenta il suo mistero non facendosi ritrovare. Molti preferiscono credere al pentito (diffidarne) che lo dice distrutto per essere stato malamente conservato. Ho sempre pensato il contrario. Se la mafia non capisce l’importanza di Caravaggio, il pittore del male, nega le sue stesse fondamenta. Che il furto più leggendario sia proprio quello di un dipinto di Caravaggio accresce infatti l’aura di pittore criminale che l’ha sempre accompagnato.

Ma è una felice coincidenza che lo stesso giorno in cui esce il mio (vorrei dire il nostro) libro, il mio principale collaboratore, intelligente e scrupoloso, Michele Cuppone, ci consegni il suo Caravaggio, la “Natività” di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro (Campisano ed.). Il metodo, per lo scomparso e per lo scoperto, è lo stesso. Cuppone ci racconta la storia del dipinto arretrandone la concezione di 10 anni: non quindi nel 1609, nel drammatico periodo siciliano, ma nel 1600, spedito da Roma al momento dell’esplosione del fenomeno Caravaggio. Gli argomenti di Cuppone sono convincenti e definitivi, e mi hanno indotto, in forza di argomentazioni stilistiche di matrice longhiana, ad apprezzare lo studioso che, con Giovanni Mendola, ricostruisce la determinante «rete di relazioni personali tra Merisi, Roma, la Sicilia, Palermo e l’oratorio di San Lorenzo», con relative transizioni finanziarie. Decisivo è l’argomento, su un documento, che il meraviglioso Oratorio, sublimato dall’intervento paradisiaco di Giacomo Serpotta nel 1700, un secolo prima, tra il 28 luglio e il 9 agosto 1600, prevedesse lavori per una cornice o macchina d’altare, evidentemente per l’inserimento del dipinto.

Cuppone, nel suo libro, applica lo stesso metodo preciso e meticoloso della ricerca per il nuovo ed esaltante Ecce Homo, procedendo per un solo quadro con un’indagine globale che ne indaga la fortuna, attraverso copie, riproduzioni, filmati e mostre, dopo il lungo periodo dei secoli bui, a partire da una litografia del 1846 fino alla richiesta, nel 1918, di una fotografia da parte del direttore della Regia Galleria Estense di Modena, Giulio Bariola, e al salvataggio durante la seconda guerra mondiale.

Sostanzialmente l’opera, inviata nel 1951 alla grande mostra di Palazzo Reale a Milano, è stata vista, con piena consapevolezza del suo valore, per meno di 20 anni, dopo i secoli della damnatio memoriae di Caravaggio e prima del furto. Cuppone sarebbe un ottimo collaboratore per i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico. Il suo libro si conclude con un documento inedito sulla “trattativa”: la minuta di una lettera del 1974 del Soprintendente, Vincenzo Scuderi, al Comandante dei carabinieri di Palermo. Ed è la più intelligente risposta agli interrogativi e alle inquietudini manifestati dopo il furto da Leonardo Sciascia. Con l’ironia di chi indica che, per le autorità del tempo, il dipinto non risultava esistente, come dichiarava il Presidente della Provincia, con candore: «sono un appassionato dell’opera di Caravaggio; eppure non ho mai saputo che a Palermo esistesse la Natività». Conclude desolato Sciascia, con una premonizione del suo scetticismo sui “professionisti dell’antimafia” «…il bello è questo: che il quadro del Caravaggio si trovava in uno dei tre splendidi oratori stuccati dal Serpotta; e se della pittura del Caravaggio si può anche avere conoscenza fermandosi ai soli quadri che si trovano a Roma, il Serpotta non si può conoscere che qui a Palermo, e nei tre oratori soprattutto. E in cinque anni, nessuno che si sia lasciato sfuggire col prefetto un tal segreto: nemmeno nelle feste della Repubblica, quando (dicono) le sale della prefettura si aprono anche agli intellettuali».

Oggi, a Madrid, il mondo si muove per il vagito di un Caravaggio appena nato; a Palermo, nel 1969, di un Caravaggio presente in città da 369 anni nessuna autorità era informata. Vedi quanto la conoscenza dell’arte può giovare all’antimafia! E, per liberare il Caravaggio sequestrato, se Brusca è a piede libero, qualunque “trattativa” coi ricettatori/ricattatori sarebbe giustificata.