Caravaggio e Mario Minniti tra Roma e Siracusa

Pubblichiamo un saggio di Michele Cuppone tratto dal volume “Caravaggio a Siracusa. Un itinerario nel Seicento aretuseo”, a cura di Michele Cuppone e Michele Romano, edito da Le Fate (Ragusa).

La copertina di "Caravaggio a Siracusa. Un itinerario nel Seicento aretuseo"

La presenza di Caravaggio a Roma è attestata per la prima volta in alcuni documenti del luglio 1597. Egli è citato nel corso di un processo relativo a un’aggressione notturna, di cui era stato testimone indiretto. Dagli atti sappiamo che l’artista si trovava in città almeno dalla quaresima del 1596, e che a quel tempo lavorava presso la bottega di un certo «mastro Lorenzo»: è dunque questa, non solo la prima traccia dopo la partenza dalla Lombardia, ma anche la sua prima esperienza lavorativa romana documentata. Lo confermerebbe anche il pittore Gaspare Celio secondo cui, da Milano, Caravaggio «se ne andò a Roma, dove passando poveramente andava facendo per un bottegaro detto Lorenzo ciciliano, alcune teste di santi, per cinque baiocchi l’una, e ne faceva doi, et se ne andava a mangiare»

Il maestro Lorenzo corrisponde pure al «pittore Siciliano, che di opere grossolane tenea bottega», come ricordato dal biografo Giovanni Baglione. Più precisamente, grazie a recenti studi, è possibile identificarlo con Lorenzo Carli, pittore originario di Naso, nel Messinese. Tuttavia poco si conosce della sua biografia, e ancor meno della sua produzione: non gli si può assegnare nemmeno un dipinto, a fronte di un’attività che invece dovette essere anche piuttosto prolifica. Al momento della sua morte, avvenuta intorno al marzo 1597, nella sua abitazione vi erano numerosi quadri, ma non è possibile distinguere quali fossero i propri: le opere sono elencate in un inventario in cui sono specificati i soggetti, ma non gli autori. Va tenuto in considerazione del resto che Carli era dedito a un’attività di vendita di quadri anche al di fuori della produzione personale e dei propri collaboratori. L’inventario, a ogni modo, contribuisce a delineare e rafforzare l’immagine di un pittore ordinario, alle prese con soggetti convenzionali come quelli devozionali. Ricorrono ritratti, copie e, ancor più, le icone sacre. È interessante peraltro notare come quest’ultime rimandino più volte alla cultura figurativa sacra siciliana, cui il nasitano doveva essere rimasto sempre legato.

La "Buona Ventura" dei Musei Capitolini e la pittura sottogiacente, visibile in radiografia

Sull’inventario dei beni di Carli, un’ultima cosa da dire riguarda la presenza di una «Madonna con il figlio che dorme sopra di un cusino et San Giovanni, Santo Iseppe et Santa Isabetta». È un’iconografia per certi versi simile a quella che appare, dalle radiografie, al di sotto della Buona Ventura oggi ai Musei Capitolini, appunto dipinta su una tela di reimpiego. Tanto che si è adombrata la possibilità che Caravaggio abbia riutilizzato, per il quadro capitolino, un primo lavoro da lui stesso eseguito, proprio nella bottega del siciliano. L’ipotesi, non direttamente verificabile, resta di grande suggestione e testimonia in ogni caso il grande interesse che gli specialisti hanno dedicato agli esordi romani di Merisi e, nello specifico, al periodo trascorso presso Carli.

Caravaggio deve aver collaborato presso il «bottegaro» nei primi mesi del 1596. Nello stesso ambiente avrebbe conosciuto il pittore siracusano Mario Minniti, se si dà credito a quanto racconta Francesco Susinno nel 1724, e se è a Carli che questi si riferisce quando, a proposito dell’arrivo a Roma di Minniti, scrive: «accomodossi con un siciliano pittore, che vendeva quadri a dozzina, e nella stessa bottega strinse amistà col Caravaggio, ambi giornalieri di quel grossolano artiere». Il condizionale è d’obbligo, per quanto la notizia sia circostanziata e trovi riscontri anche nella descrizione della provenienza geografica e della professionalità di Carli, e del ruolo poco gratificante svolto dai suoi collaboratori. Susinno infatti è un autore che, per di più scrivendo oltre un secolo dallo svolgimento dei fatti, nel suo testo presenta particolari originali e dal sapore aneddotico. Da documenti noti, peraltro, sembra evincersi che la casa-bottega di Carli, ubicata a Roma presso la chiesa di Sant’Agostino, fosse piuttosto piccola e non idonea a ospitare più di un apprendista-aiutante. Nulla comunque vieta di pensare che almeno uno fra i due giovani, agli inizi del 1596, si limitasse a una collaborazione “alla giornata” con Carli, disponendo già di un alloggio autonomo.

Alcuni presunti ritratti di Mario Minniti nei dipinti di Caravaggio ("Ragazzo con canestra di frutta", "Suonatore di liuto", "Buona Ventura" - versione del Louvre), a confronto con l'incisione di Marcellino Minasi del 1821.

Risulta molto più arduo confermare la veridicità di un altro passaggio delle biografie di Susinno, secondo cui i due esordienti «di mala voglia dimoravano in quella bottega». «Risoluti perciò allontanarsi dalle goffagini di un tal maestro, si risolvettero far coabitazione ed unitamente al necessario colle fatighe delle loro prime opere». Ciò ha portato qualcuno a supporre che Caravaggio e Minniti avessero dimorato assieme a Palazzo Madama, dove il primo fu ospitato a partire dal 1597 dal cardinale del Monte, suo mecenate. Ci si è spinti addirittura a riconoscere in Minniti un modello utilizzato da Merisi nei quadri di quel periodo – tra cui il Ragazzo con canestra di frutta e il Suonatore di liuto –, sulla base delle fattezze del siracusano così come raffigurato in una raccolta di biografie del 1821. Tale ipotesi risulta però inconsistente. Anzitutto, a quella data così tarda e in assenza di altri ritratti noti di Minniti, quest’unico potrebbe benissimo essere di invenzione. Ma soprattutto, i tratti somatici riprodotti sono piuttosto vaghi e, pertanto, è molto opinabile il confronto con i modelli caravaggeschi. Infine, una supposta convivenza di Caravaggio e Minniti ha offerto la sponda a quanti sostengono l’omosessualità del primo. La conclusione, che naturalmente non aggiunge né toglie nulla al valore del grande lombardo, non è a ogni modo suffragata dai documenti, da cui si evincono comunque le frequentazioni femminili sia dell’uno sia dell’altro.

Gli unici due documenti romani riferibili con certezza a Minniti, peraltro, sono relativi alla sua convivenza (1600) e matrimonio (2 febbraio 1601) con Alessandra Bertoldi . Purtroppo gli archivi capitolini non hanno restituito nessun altro dato biografico di interesse, tale anche da corroborare il racconto di Susinno. Una traccia importante tuttavia riaffiora ad agosto-settembre del 1603, negli atti del processo intentato da Giovanni Baglione, che a suo dire era stato diffamato da Merisi e altri. Uno dei testimoni menziona, senza attribuirgli un ruolo particolare nella vicenda, «un certo Mario», pittore, abitante presso via del Corso. Caravaggio che, quando interrogato, è solitamente sfuggente alle domande o comunque vago, e spesso le sue parole sono pure in contrasto con altre testimonianze, prende le distanze dal citato Mario. Ne riconosce una certa frequentazione se non proprio una temporanea convivenza, che dà per interrotte da tre anni e dunque nel 1600: «stava una volta con me et è tre anni che se ne partì et non gl’ho più parlato». Ci sono buoni motivi per pensare che il pittore Mario «che sta sul Corso» sia lo stesso Minniti che peraltro, dal 1600 in cui già vive con la futura sposa (e con il fratello Andrea, anch’egli pittore), non aveva modo di frequentare e coabitare più con Merisi. Se quest’ultimo sostiene di non rivolgere più la parola da tempo all’altro, è forse anche per tenerlo (utilmente) fuori dal processo in corso, cui di fatto non verrà chiamato a testimoniare. E, in qualche modo, la deposizione di Caravaggio nel 1603 e i due documenti su Minniti del 1600-1601 danno sostegno ancora una volta a Susinno, quando narra che il siracusano «stabilì prender moglie per poter più quietamente vivere, perché alquanto infastidivalo la torbidezza dell’amico».

L’antica amicizia fra i due, avrà comunque modo di manifestarsi nuovamente nell’ottobre 1608, quando si ritroveranno a Siracusa dopo l’evasione del lombardo da Malta. Si può anzi immaginare che un primo loro incontro a distanza di anni fosse già avvenuto, nel luglio 1607. Sappiamo infatti che la flotta di cinque galere su cui, a quanto pare, Caravaggio si imbarcò nel viaggio da Napoli a Malta, sostò prima del 6 luglio a Messina ed entro l’11 a Siracusa. Con entrambe le città della Sicilia orientale egli avrebbe avuto così un primo approccio, prima di tornarci e soggiornare per alcuni mesi e, pur senza avere idea di dover preparare il terreno per questo, avrebbe potuto avviare già dei contatti che sarebbero poi tornati utili.

Siracusa, Archivio di Stato, notaio Domenico Presterà, vol. 10998, f. 138.

Per concludere, riordiamo notizie attestanti in qualche modo, in un’epoca precoce a Siracusa, come potesse essere legato l’interesse tanto per la pittura di Merisi quanto per quella di Minniti. È il 22 marzo 1639 quando risultano infatti presenti in una collezione aretusea una copia dal primo e due originali del secondo. Nell’inventario allegato al testamento di don Pietro Alagona, arcidiacono della Cattedrale, tra gli altri dipinti figurano: «Un Crocifisso mezzano incorniciato di mano di Minnitti […] Una madonna di mano di detto Minniti con li cornici deaurati / Una copia del quatro di S. Lucia del martirio senza cornice […] Uno della decollazione di S. Gio. senza cornice / Un altro quatro della decollazione copia di Caravaggi».