È uno dei capolavori superstiti di Caravaggio tra i più sfortunati, il Seppellimento di santa Lucia (1608) nella basilica di Santa Lucia al Sepolcro a Siracusa, letteralmente corroso dall’umidità nel corso dei secoli e in parte compromesso dall’intervento umano tanto che, della pittura originale, molto è andato perduto.
E così, all’incertezza sulla genesi del capolavoro, il cui contratto di commissione non è mai stato reperito, si aggiunge quella sulla lettura iconografica. A ogni modo, uno studio più approfondito delle copie antiche permette di recuperare idealmente alcuni particolari pressoché o del tutto smarriti.
Novità sul tema provengono da una recente ricerca di Michele Cuppone, pubblicata nel volume “Festschrift per Vittorio Sgarbi 2022. Settanta scritti e altrettanti auguri” e ora disponibile online. L’autore segnala in particolare una copia conservata in Sicilia in collezione privata, l’unica che ricalca la prima impostazione del pastorale del vescovo e dunque, verosimilmente, la più antica.
Dall’ultimo restauro della grande pala d’altare siracusana, infatti, è emerso che inizialmentel’artista aveva dipinto il pastorale orientandone a destra il riccio, poi spostato dall’altro lato. La ‘nuova’ copia siciliana dovrebbe essere stata eseguita in tempi relativamente vicini rispetto all’originale e, comunque, prima che in quest’ultimo venisse apportata la modifica al riccio.
Nuove indagini diagnostiche e approfondimenti specifici potranno appurare l’ipotesi che ora si affaccia: che cioè non fu Caravaggio, che a Siracusa soggiornò per un periodo molto breve, bensì un altro, ignoto pittore (l’amico Mario Minniti?) a intervenire sull’orientamento del pastorale, spostandolo verso il “popolo”. Un intervento forse giustificato da una specifica richiesta di maggiore aderenza formale dell’iconografia caravaggesca al cerimoniale vescovile del tempo.
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