Quel Caravaggio scomparso tra mafia e un famoso antiquario

Recensione di Carlo Dignola su “L’Eco di Bergamo” al saggio di Michele Cuppone “Caravaggio, la Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro”.

Dove c’è Caravaggio, c’è mistero; c’è qualcosa che non quadra mai con le nostre categorie, e c’è uno sfondo noir: è anche questo il fascino di un grande artista come lui.

Certo, una delle vicende più intricate e meno risolte che lo riguardano, che ci riporta non al lontano ’500 ma alla metà del secolo scorso, è quella della sua «Natività» scomparsa a Palermo a metà ottobre del 1969. La ricostruisce, con alcuni interessanti flash sul possibile destino di quello straordinario dipinto, intrecciato con storie di mafia e – ça va sans dire – di disonestissimi antiquari, uno studio di Michele Cuppone, ricercatore, uno di quegli specialisti indipendenti che, forse proprio perché si «dilettano» ad avvitarsi in ricerche del genere, spesso aiutano a capire molte cose, anche più di istituti più paludati.

«Caravaggio, la Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro» (Campisano editore, pp. 126, euro 30) è un «importante studio» per Richard E. Spear. Recensito anche dalla «Frankfurter Allgemeine» e da «Artribune», si presenta in un’edizione rinnovata, ha un taglio cronachistico e divulgativo, ed è arricchito da un apparato di immagini che lo rendono più accessibile.

Cuppone racconta di un Caravaggio «prima vittima della sua stessa intemperanza», artista capace «di squarciare letteralmente il buio, con la luce della sua pittura e della sua poetica». Che anche post-mortem continua a vivere una vita border line con la malavita e senza requie: la sua «Natività» rischiò di andare distrutta già durante l’ultimo conflitto mondiale. Ma cerca di smontare le ipotesi – fino alle «leggende» – messe in circolazione da deposizione di mafiosi collaboratori di giustizia a proposito della «Natività»: di essa «si è detto di tutto, dalla tela utilizzata come stendardo nei summit di Cosa nostra, mangiata da topi e maiali in una stalla, o distrutta nel terremoto dell’Irpinia».

Fidandosi soprattutto dell’inchiesta del 2018 della Commissione parlamentare antimafia, «che ha individuato in un anziano antiquario svizzero l’acquirente della “Natività”, con la mediazione del boss Gaetano Badalamenti», lo studioso scrive anche di atti ufficiali finora secretati, tra i quali una lettera del 1974, «preclusa alla consultazione», in cui si parla di una richiesta di riscatto da parte di ignoti ricettatori.

Il breve saggio chiarisce meglio anzitutto la genesi del dipinto di Caravaggio, attraverso confronti stilistici e iconografici, nuovi documenti e fonti trascurate, fino alle radiografie eseguite sulla tela nel 1951 in occasione del restauro in vista della famosa mostra a Palazzo Reale di Milano «Caravaggio e i caravaggeschi». Propone una esecuzione del dipinto non più in Sicilia nel 1609, ma nel periodo romano, probabilmente nel 1600: sarebbe stato realizzato nelle sale di Palazzo Madama, attuale sede del Senato della Repubblica, ma a quel tempo abitazione di Caravaggio. E da lì sarebbe stato poi portato a Palermo, all’Oratorio di San Lorenzo, da un mercante senese che aveva relazioni commerciali con il Sud.

Cuppone è in buona compagnia: diffidano della datazione tarda anche studiosi importanti come Maurizio Calvesi o a Vittorio Sgarbi. Ma più che l’esatta cronologia, che porrebbe la tela accanto alle celebri storie di San Matteo della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, nel punto di svolta della carriera del Merisi (la «Natività» per Cuppone sarebbe addirittura la sua prima pala d’altare), il saggio indaga, in maniera intrigante, su alcune sue copie «scomparse del tutto, o comunque per secoli» e soprattutto ricostruisce bene il furto del ’69: il capolavoro del Merisi fu asportato, con la vasta complicità di una Palermo come sempre non-udente e silente, da un gruppetto di ladri che lo portarono via su un camion della frutta, lasciando sull’altare il telaio. Un furto con ogni probabilità su commissione – forse «stimolato» da un recente servizio andato in onda in tivù -, che scivola poi, sempre peggio, in una spirale di mafia e malaffare che lo ha fatto salire (quotazione: 20 milioni di dollari) al secondo posto della Top ten dei «crimini artistici» di tutti i tempi, secondo l’Fbi americana: tra preziosi reperti archeologici iracheni e un violino Stradivari sparito dal ’95.

La mafia si sarebbe resa conto della rilevanza dell’opera, ma anche della difficoltà a «smerciarla», data la sua fama: e con la sua copertura già nel 1970 essa sarebbe finita (per congrua cifra) nelle mani di un antiquario trafficante di opere d’arte, oggi deceduto, in Canton Ticino, forse a Lugano, via Milano. Per raggiungere poi qualche privatissima e segretissima collezione.

Chiude il volume un’ampia rassegna di articoli dalla stampa nazionale e locale, con firme prestigiose come Leonardo Sciascia, che consente di rivivere in diretta le cronache del tempo.