Ultimo aggiornamento: 27 febbraio 2022, ore 18:31 (180 voci in rassegna)
Il 7 aprile 2021 è stata annunciata la scoperta di un nuovo Caravaggio. Si tratta di di una tela di 111 x 86 centimetri, raffigurante un Ecce Homo.
Il quadro era stato assegnato inizialmente alla cerchia di Jusepe de Ribera e sarebbe andato una all’asta a Madrid presso Ansorena, conbase di soli 1.500 euro. Ma è stato ritirato dalla vendita, bloccato dallo Stato Spagnolo, mentre cresceva l’interesse sul dipinto e si faceva avanti il sospetto che possa trattarsi di un inedito di Michelangelo Merisi.
Si rincorrono le prime dichiarazioni degli studiosi a mezzo stampa e CaravaggioNews offre un’utile rassegna costantemente aggiornata delle uscite più interessanti per contenuti (PDF).
9 commenti su “L’Ecce Homo attribuito a Caravaggio: le notizie in tempo reale”
quante scemenze sono state dette attorno a questo dipinto in pochi giorni. Una cosa è certa. Non è il dipinto commissionato a Roma nel 1605. Chi non è in grado di capire nemmeno questo come può farne un’attribuzione affidabile? E che strazio, vedere studiosi e cattedratici esprimersi su di un dipinto scarsamente leggibile, ancora da pulire, senza diagnostiche. Nessuno che sappia che già Longhi conosceva questo dipinto e più di mezzo secolo fa lo considerava una derivazione. Mi piacerebbe che invece di tante chiacchiere vuote questi poveracci che per attribuirsi l’attribuzione non hanno paura di cadere nel ridicolo provassero a rispondere alle domande che sono sul piatto:
-Qual è il rapporto tra questo dipinto e quello di Passignano e Cigoli?
-Come spiegano che i riferimenti a un dipinto che vogliono assegnare al 1605 fossero genericamente agli ambiti di Ribera e Preti?
-Come spiegano la citazione che ne fa Minniti nel 1625, rilevata da Renato de Tomasi?
-Perché legano questo dipinto alla commissione Massimo e non alle “quattro scene della passione di Cristo” commissionate ante agosto 1609 dal patrizio messinese Nicolò di Giacomo?
-Come considerano la relazione tra questo dipinto e quello che stava in collezione Cortez a NY, e della sua copia esistente nella chiesa dei Carmelitani ad Arenzano?
-Come spiegano la presenza ricorrente del tema dell’Ecce Home nella pitttura genovese e ligure del Secolo d’Oro, con impaginazioni che ricordano quella del dipinto in oggetto e non dipendono da quello di eguale soggetto, sino a oggi attribuito (io credo di averlo per primo messo in dubbio nel libro del 2009) al Caravaggio, che legavo a una commissione Doria?
-Di chi è a questo punto il dipinto di Palazzo Bianco?
Stanco di assistere allo scempio che studiosi perennemente a caccia di nuove attribuzioni a sensazione e delle topiche storiografiche di cattedratici che rimescolano le carte facendo disastri (vedi gli errori disseminati nei lavori su Tanzio dalla Terzaghi), mi piacerebbe che sino a quando non sarà possibile fare osservazioni più fondate e puntuali su questo dipinto si provasse intanto a rispondere a queste domande. Che se si vuole attribuire questo dipinto non possono essere eluse. Non basta dire “è Caravaggio”, non è una bottiglia di Brunello di Montalcino, è un oggetto artistico che ha una storia, e senza avere una storia non è nulla.
Mi permetto – sommessamente ed esplicitamente – d’esser d’accordo in tutto con tutto quanto affermato, con pacata fermezza, da Andrea Dusio, e non soltanto per la compulsiva mania attributiva di presunti o sedicenti esperti – rammentiamo ancora le risibili “attribuzioni” caravaggesche dei disegni del fondo Peterzano o l’infelice Giuditta di Tolosa,quasi certamenre clone di Finson – ma anche e soprattutto per l’abissale distanza, anche solo delle fisionomie dei personaggi dell’intero gruppo, dai volti e dal ductus pittorico di Caravaggio…
Essendo stato sfiorato dalla “caravaggite”, malattia molto diffusa tra gli storici dell’arte, so riconoscerne i segni. Cominciamo col dire che questo ritrovamento è importante e che ha fatto bene il governo spagnolo ad apporre il vincolo, perché l’impostazione a tre apparenta il dipinto a quelli legati al cosiddetto “concorso Massimi”, parentela ribadita dalla presenza del davanzale marmoreo (che manca nella redazione genovese, assai “celliniana”, come è noto). E’ inoltre indiscutibile la comune matrice del volto di Pilato (che non fu mai sacerdote, caro Pulini…) e del volto di San Pietro Martire, come è stato notato dalla Terzaghi (sciaguratamente defiinita “Terzagni” dalla Repubblica, dato che è giovane e bionda come la mamma più famosa d’Italia) ma l’osservazione della cosiddetta “materia” (osservazione assolutamente preliminare e condizionata dallo stato di conservazione, non certo eccellente) mi porta a ritenere questo Ecce Homo una buona copia antica.
Prudenza, ci vuole massima prudenza prima di sbilanciarsi in giudizi che potrebbero costare caro. Non è meglio parlare e scrivere solo dopo accurate indagini scientifiche e tecniche sul dipinto, mettendolo a confronto con altre indagini già svolte e diagnosi relative a opere certe del grande Maestro lombardo, e poi dopo si può dar vita a un accurato dibattito tra storici dell’arte. Ai fini di una certa attribuzione o di una negazione alla mano di Caravaggio. Inoltre, dare giudizi su opere conosciute solo in fotografia o immagini dal web mi pare alquanto curioso, pericoloso e azzardato. L’esperienza insegna che qualsiasi storico dell’arte deve trovarsi fisicamente, personalmente, di fronte all’opera prima di poter esprimere qualsiasi parere, anche una semplice sensazione. Si tratta di normale prudenza professionale, o ci vuole tanto per capirlo?
Leggo con grande interesse il commento di Piero Donati. E vorrei fare il punto sul dipinto genovese e sulla persistenza del tema dell’Ecce Home nella scuola ligure del Secolo d’Oro. La pittura che verrebbe da chiamare post-manierista, che non è ancora barocca e non è mai stata caravaggista, incentrata sull’importanza del disegno come pratica accademica che presiede la composizione, e poco interessata alla riproduzione del reale, domina a Genova, Milano e in molti altri centri del Nord Italia nei primi decenni del XVII secolo, e lascia come eredità tecnica alcune conquiste fondamentali. Da un lato la pittura di tocco e l’abbozzo, consistente nel dipingere quasi disegnando, lasciando comunque anche nelle opere finite le traccia delle anatomie a vista, e dall’altro la capacità di stressare questa pratica sino a una maniera in cui tutto nel dipinto diventa linea e grafica, i corpi e i volumi sono evanescenti. A fianco di questa produzione esiste però un curioso ibrido: un modo che non è schiettamente caravaggesco, ma che recupera temi compositivi proprio del momento di massima focalizzazione sul realismo, per rielaborarli in chiave devozionale e patetica, spesso assecondando l’interesse della committenza per questo o quel tema iconografico. Il caso per eccellenza, se si guarda a Genova, è quello della proliferazione nell’ambiente dei pittori della “Superba” di dipinti raffiguranti l’ “Ecce Homo”. Una concentrazione impressionante di quadri riferiti a questo soggetto delle storie della Passione si situa proprio negli anni che sono oggetto della mostra “L’ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri” alle Gallerie d’Italia, dove sono presenti due tele con questo tema, quella di Gioacchino Assereto e una delle numerosissime redazioni-forse la più brillante- che stanno nel catalogo di autografi di Gregorio de Ferrari, che ha frequentato il soggetto in maniera quasi ossessiva, con esiti spesso estenuati di plateale spasimo che in un altro articolo di questo blog abbiamo messo a confronto con la maniera del lombardo Francesco Del Cairo, artista caro a Giovanni Testori.
Orazio De Ferrari, “Ecce Homo”, Milano, Pinacoteca di Brera, 1640-1650, olio su tela, cm. 95×118.
La genesi dell’interesse per l’ “Ecce Homo” va cercata in un episodio noto e perfettamente documentato, la competizione a tre voluta dal patrizio romano Massimo Massimi nel 1605, che vide coinvolti, il Caravaggio insieme al Passignano e al Cigoli, entrambi artisti toscani. Possediamo in tal senso una nota autografa dello stesso Merisi, rinvenuta nell’archivio di Palazzo Massimo nel 1987 assieme a una del Cigoli, che dice “Io Michel Ang.lo Merisi da Caravaggio mi obligo a pingere all Ill.mo Massimo Massimi per esserne statto pagato un quadro di valore e grandezza come quello ch’io gli feci dell’Incoronazione, di Cristo per il primo di Agosto 1605. Quella del Cigoli riporta: “A di marzo 1607 io Lodovico di Giambattista Cigoli o ricevuto da Nobil Sign.r Massimo Massimi scudi venticinque a buon conto di un quadro grande compagno di uno altro mano del sig.r Michelagniolo Caravaggio resto contanti scudi sopradetto Giovanni Massarelli suo servitore et in fede mia o scritto q.o dì suddetto in Roma/Io Lodovico Cigoli”. Nella più antica biografia dello stesso Cigoli, scritta nel 1628 dal nipote Giambattista, si legge: “Volendo Monsignor Massimi un Ecce Homo che gli soddisfacesse, ne commesse uno al Passignano, uno al Caravaggio et uno al Cigoli senza che l’uno sapesse dell’altro; i quali tutti tirati al fine e messi al paragone… (quello del Cigoli)…piacque più degli altri, e perciò tenutolo appresso di se Monsignore mentre stette in Roma fu di poi portato a Firenze e venduto al Severi”.
Lodovico Cardi detto il Cigoli, “Ecce Homo”, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, 1607, olio su tela, 175×135 cm.
La circostanza della competizione “segreta” sembra smentita dai tempi diversi di realizzazione, mentre è sicuro che la redazione del Cigoli ebbe più successo di quella del Caravaggio. Che potrebbe essere stata realizzata per conto di un altro collezionista, forse don Juan de Leczano, che lo avrebbe portato in Sicilia e poi a Napoli, dove risulta inventariato nel 1631, corredato di un stima, come segnalava nel suo “Pictor” Maurizio Marini, di 800 scudi, molto alta per l’epoca, pari quasi a quella di una pala. Il prezzo alto potrebbe aver complicato la vendita di questo dipinto, ricomparso in un inventario del 1657, che il viceré Garcia de Avellaneda y Haro manda a Madrid, dov’è descritto così: “Mas otro quadro de un Heccehomo de zinco palmos con marco de evano con un soldado y pilato che ensena al Pueblo es original de mano de Mi Cael Caravacho”. L’iconografia è conosciuta sin da allora, anche grazie a una copia ritenuta un tempo autografa e forse legata alla produzione di Alonso Rodriguez, che sta al Museo Nazionale di Messina, e da cui deriverebbero le altre versioni siciliane (a Palermo). L’orginale è pervenuto invece come copia di Lionello Spada a Palazzo Bianco, nel 1921, e non sappiamo da quanto fosse in Liguria. Venne considerato di scarso valore e assegnato alla Scuola Navale, dove stava su una scala. Dopo i bombardamenti del 1944 fu ritrovato nelle macerie, riconsiderato e attribuito al Caravaggio, non senza un dibattito critico che non si è mai esaurito completamente (Longhi nella mostra milanese del 1951 lo espose la versione messinese come “copia cruda, ma abbastanza fedele da un’opera tarda del maestro”, riconoscendo nel Cristo un prototipo di Antonella da Messina).
Sebastiano del Piombo, “Ritratto di Andrea Doria”, Roma, Galleria Doria Pamphilj, 1526, olio su tela, 153×107 cm.
Resta però il fatto che, a fronte di una tradizione che vorrebbe riconoscere nel ritratto di Pilato l’immagine del Caravaggio (che però ci appare sempre nelle sue tele radicalmente diversa) il precedente iconografico più vicino è il ritratto di Andrea Doria di Sebastiano del Piombo, che attesterebbe un qualche legame con Genova.
La presenza delle copie siciliane del dipinto potrebbe spiegarsi anche con il fatto, curiosamente da sempre trascurato dalla critica, che nel 1608, epoca del soggiorno del Caravaggio nell’isola, vescovo di Palermo era appena stato nominato il genovese Giannettino Doria, che entrò in città con grande sfarzo nel maggio del 1609, proprio a ridosso di un possibile passaggio del pittore in città per attendere alla realizzazione della “Natività dei Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” trafugata dall’Oratorio di San Lorenzo nel luglio del 1969 e mai più ritrovata (Natività che invece oggi si lega a un dipinto spedito da Roma poco dopo la realizzazione della Cappella Contarelli, secondo un’ipotesi che ha trovato un crescente successo tra gli storici dell’arte, ma che personalmente continua a non convincermi). Giannettino rientrò a Genova nel 1611, e mantenne sempre legami con la città d’origine, il che potrebbe giustificare la presenza del dipinto in Liguria, anche se i passaggi di proprietà non sono documentati. Verrebbe così a cadere l’identificazione dell’ “Ecce Homo” di Palazzo Bianco con quello della contesa tra il Caravaggio, il Cigoli e il Passignano, e dovremmo parlare dunque almeno due dipinti del Merisi con questo soggetto (esistono diverse derivazioni in Sicilia e in Liguria, ad Arenzano, di un’altra impaginazione differente, sviluppata in senso orizzontale, con un linguaggio popolaresco che fa fortemente dubitare che si tratti di un’invenzione del Caravaggio, e che però la critica tende ad avvallare negli ultimi anni come una sua creazione, accreditando così l’idea che le redazioni possano essere tre). Secondo una tesi che oggi, dopo la scoperta del dipinto spagnolo merita una riconsiderazione, il Merisi avrebbe dunque dipinto l’ “Ecce Homo” di Palazzo Bianco a Palermo, nell’estate del 1609, prima di tornare a Roma (la tesi venne, con sfumature diverse, proposta in parallelo da due testi usciti nel 2009, quasi contemporaneamente, la monografia di Francesca Cappelletti e il mio Caravaggio White Album), omaggiando Giannettino Doria col dare a Pilato le sembianze del condottiero Andrea. Il dipinto sarebbe poi tornato in Liguria, confluendo poi, non riconosciuto, nelle raccolte civiche. Ora ci ritroviamo invece con una redazione, a mio parere siciliano e non da porsi in relazione alla commissione Massimo, da cui deriverebbero anche le rielaborazioni pubblicate a suo tempo dalla Gregori, e si riapre completamente il dibattito sul dipinto genovese. Che non fa scuola localmente, non corrisponde strettamente agli stilemi del tardo Caravaggio, ha copie antiche in Sicilia, e continua a sembrare plausibilmente legato a una committenza Doria. Ma se Caravaggio non è mai stato a Palermo, e ha dipinto l’Ecce Homo spagnolo a Messina, come verrebbe da pensare, chi ha realizzato il quadro di Palazzo Bianco?
Sono Piero Donati. Grazie per l’apprezzamento. Possiamo darci del tu? Perchè non ti convince la retrodatazione della Natività di Palermo? Stilisticamente, non lega affatto con i dipinti di sicura datazione al 1609-1610 (il quadrone di Siracusa o la Sant’Orsola dipinta per Genova).
Comunque, una cosa è certa: l’Ecce Homo di Genova non è di Caravaggio e quindi il teatrino messo in piedi nel 2019 dalla Orlando a sostegno di una mostra poggiante su premesse debolissime dimostra tutta la sua fragilità. Fra l’altro, ci vuole del coraggio a spacciare per restauro la manutenzione subìta nel 2003 dal dipinto e pagata dagli organizzatori della mostra alla quale era destinato.
Anche se il dipinto è sporco la qualità della materia pittorica che traspare è mediocre. Si notano delle evidenti incertezze anatomiche: il disegno del naso, dell’orecchio, dei muscoli del collo e della clavicola che escludono, secondo me, la mano di Caravaggio. Nella migliore delle ipotesi è una copia accettabile oppure un’opera del Battistello (il modello del Cristo è il medesimo di altre opere di questo seguace del Caravaggio a Napoli). Un eventuale restauro renderà più evidenti questi difetti.
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui a utilizzare il sito si presuppone che tu sia d'accordo. Privacy policyAcconsento ai cookieRifiuto
quante scemenze sono state dette attorno a questo dipinto in pochi giorni. Una cosa è certa. Non è il dipinto commissionato a Roma nel 1605. Chi non è in grado di capire nemmeno questo come può farne un’attribuzione affidabile? E che strazio, vedere studiosi e cattedratici esprimersi su di un dipinto scarsamente leggibile, ancora da pulire, senza diagnostiche. Nessuno che sappia che già Longhi conosceva questo dipinto e più di mezzo secolo fa lo considerava una derivazione. Mi piacerebbe che invece di tante chiacchiere vuote questi poveracci che per attribuirsi l’attribuzione non hanno paura di cadere nel ridicolo provassero a rispondere alle domande che sono sul piatto:
-Qual è il rapporto tra questo dipinto e quello di Passignano e Cigoli?
-Come spiegano che i riferimenti a un dipinto che vogliono assegnare al 1605 fossero genericamente agli ambiti di Ribera e Preti?
-Come spiegano la citazione che ne fa Minniti nel 1625, rilevata da Renato de Tomasi?
-Perché legano questo dipinto alla commissione Massimo e non alle “quattro scene della passione di Cristo” commissionate ante agosto 1609 dal patrizio messinese Nicolò di Giacomo?
-Come considerano la relazione tra questo dipinto e quello che stava in collezione Cortez a NY, e della sua copia esistente nella chiesa dei Carmelitani ad Arenzano?
-Come spiegano la presenza ricorrente del tema dell’Ecce Home nella pitttura genovese e ligure del Secolo d’Oro, con impaginazioni che ricordano quella del dipinto in oggetto e non dipendono da quello di eguale soggetto, sino a oggi attribuito (io credo di averlo per primo messo in dubbio nel libro del 2009) al Caravaggio, che legavo a una commissione Doria?
-Di chi è a questo punto il dipinto di Palazzo Bianco?
Stanco di assistere allo scempio che studiosi perennemente a caccia di nuove attribuzioni a sensazione e delle topiche storiografiche di cattedratici che rimescolano le carte facendo disastri (vedi gli errori disseminati nei lavori su Tanzio dalla Terzaghi), mi piacerebbe che sino a quando non sarà possibile fare osservazioni più fondate e puntuali su questo dipinto si provasse intanto a rispondere a queste domande. Che se si vuole attribuire questo dipinto non possono essere eluse. Non basta dire “è Caravaggio”, non è una bottiglia di Brunello di Montalcino, è un oggetto artistico che ha una storia, e senza avere una storia non è nulla.
Complimenti per la risposta.. Fa riflettere parecchio
Salve Sog.Dusio, le chiedo cortesemente qualche informazione in piú sulla citazione di Minniti di cui accenna. Grazie
Mi permetto – sommessamente ed esplicitamente – d’esser d’accordo in tutto con tutto quanto affermato, con pacata fermezza, da Andrea Dusio, e non soltanto per la compulsiva mania attributiva di presunti o sedicenti esperti – rammentiamo ancora le risibili “attribuzioni” caravaggesche dei disegni del fondo Peterzano o l’infelice Giuditta di Tolosa,quasi certamenre clone di Finson – ma anche e soprattutto per l’abissale distanza, anche solo delle fisionomie dei personaggi dell’intero gruppo, dai volti e dal ductus pittorico di Caravaggio…
Essendo stato sfiorato dalla “caravaggite”, malattia molto diffusa tra gli storici dell’arte, so riconoscerne i segni. Cominciamo col dire che questo ritrovamento è importante e che ha fatto bene il governo spagnolo ad apporre il vincolo, perché l’impostazione a tre apparenta il dipinto a quelli legati al cosiddetto “concorso Massimi”, parentela ribadita dalla presenza del davanzale marmoreo (che manca nella redazione genovese, assai “celliniana”, come è noto). E’ inoltre indiscutibile la comune matrice del volto di Pilato (che non fu mai sacerdote, caro Pulini…) e del volto di San Pietro Martire, come è stato notato dalla Terzaghi (sciaguratamente defiinita “Terzagni” dalla Repubblica, dato che è giovane e bionda come la mamma più famosa d’Italia) ma l’osservazione della cosiddetta “materia” (osservazione assolutamente preliminare e condizionata dallo stato di conservazione, non certo eccellente) mi porta a ritenere questo Ecce Homo una buona copia antica.
Prudenza, ci vuole massima prudenza prima di sbilanciarsi in giudizi che potrebbero costare caro. Non è meglio parlare e scrivere solo dopo accurate indagini scientifiche e tecniche sul dipinto, mettendolo a confronto con altre indagini già svolte e diagnosi relative a opere certe del grande Maestro lombardo, e poi dopo si può dar vita a un accurato dibattito tra storici dell’arte. Ai fini di una certa attribuzione o di una negazione alla mano di Caravaggio. Inoltre, dare giudizi su opere conosciute solo in fotografia o immagini dal web mi pare alquanto curioso, pericoloso e azzardato. L’esperienza insegna che qualsiasi storico dell’arte deve trovarsi fisicamente, personalmente, di fronte all’opera prima di poter esprimere qualsiasi parere, anche una semplice sensazione. Si tratta di normale prudenza professionale, o ci vuole tanto per capirlo?
Leggo con grande interesse il commento di Piero Donati. E vorrei fare il punto sul dipinto genovese e sulla persistenza del tema dell’Ecce Home nella scuola ligure del Secolo d’Oro. La pittura che verrebbe da chiamare post-manierista, che non è ancora barocca e non è mai stata caravaggista, incentrata sull’importanza del disegno come pratica accademica che presiede la composizione, e poco interessata alla riproduzione del reale, domina a Genova, Milano e in molti altri centri del Nord Italia nei primi decenni del XVII secolo, e lascia come eredità tecnica alcune conquiste fondamentali. Da un lato la pittura di tocco e l’abbozzo, consistente nel dipingere quasi disegnando, lasciando comunque anche nelle opere finite le traccia delle anatomie a vista, e dall’altro la capacità di stressare questa pratica sino a una maniera in cui tutto nel dipinto diventa linea e grafica, i corpi e i volumi sono evanescenti. A fianco di questa produzione esiste però un curioso ibrido: un modo che non è schiettamente caravaggesco, ma che recupera temi compositivi proprio del momento di massima focalizzazione sul realismo, per rielaborarli in chiave devozionale e patetica, spesso assecondando l’interesse della committenza per questo o quel tema iconografico. Il caso per eccellenza, se si guarda a Genova, è quello della proliferazione nell’ambiente dei pittori della “Superba” di dipinti raffiguranti l’ “Ecce Homo”. Una concentrazione impressionante di quadri riferiti a questo soggetto delle storie della Passione si situa proprio negli anni che sono oggetto della mostra “L’ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri” alle Gallerie d’Italia, dove sono presenti due tele con questo tema, quella di Gioacchino Assereto e una delle numerosissime redazioni-forse la più brillante- che stanno nel catalogo di autografi di Gregorio de Ferrari, che ha frequentato il soggetto in maniera quasi ossessiva, con esiti spesso estenuati di plateale spasimo che in un altro articolo di questo blog abbiamo messo a confronto con la maniera del lombardo Francesco Del Cairo, artista caro a Giovanni Testori.
Orazio De Ferrari, “Ecce Homo”, Milano, Pinacoteca di Brera, 1640-1650, olio su tela, cm. 95×118.
La genesi dell’interesse per l’ “Ecce Homo” va cercata in un episodio noto e perfettamente documentato, la competizione a tre voluta dal patrizio romano Massimo Massimi nel 1605, che vide coinvolti, il Caravaggio insieme al Passignano e al Cigoli, entrambi artisti toscani. Possediamo in tal senso una nota autografa dello stesso Merisi, rinvenuta nell’archivio di Palazzo Massimo nel 1987 assieme a una del Cigoli, che dice “Io Michel Ang.lo Merisi da Caravaggio mi obligo a pingere all Ill.mo Massimo Massimi per esserne statto pagato un quadro di valore e grandezza come quello ch’io gli feci dell’Incoronazione, di Cristo per il primo di Agosto 1605. Quella del Cigoli riporta: “A di marzo 1607 io Lodovico di Giambattista Cigoli o ricevuto da Nobil Sign.r Massimo Massimi scudi venticinque a buon conto di un quadro grande compagno di uno altro mano del sig.r Michelagniolo Caravaggio resto contanti scudi sopradetto Giovanni Massarelli suo servitore et in fede mia o scritto q.o dì suddetto in Roma/Io Lodovico Cigoli”. Nella più antica biografia dello stesso Cigoli, scritta nel 1628 dal nipote Giambattista, si legge: “Volendo Monsignor Massimi un Ecce Homo che gli soddisfacesse, ne commesse uno al Passignano, uno al Caravaggio et uno al Cigoli senza che l’uno sapesse dell’altro; i quali tutti tirati al fine e messi al paragone… (quello del Cigoli)…piacque più degli altri, e perciò tenutolo appresso di se Monsignore mentre stette in Roma fu di poi portato a Firenze e venduto al Severi”.
Lodovico Cardi detto il Cigoli, “Ecce Homo”, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, 1607, olio su tela, 175×135 cm.
La circostanza della competizione “segreta” sembra smentita dai tempi diversi di realizzazione, mentre è sicuro che la redazione del Cigoli ebbe più successo di quella del Caravaggio. Che potrebbe essere stata realizzata per conto di un altro collezionista, forse don Juan de Leczano, che lo avrebbe portato in Sicilia e poi a Napoli, dove risulta inventariato nel 1631, corredato di un stima, come segnalava nel suo “Pictor” Maurizio Marini, di 800 scudi, molto alta per l’epoca, pari quasi a quella di una pala. Il prezzo alto potrebbe aver complicato la vendita di questo dipinto, ricomparso in un inventario del 1657, che il viceré Garcia de Avellaneda y Haro manda a Madrid, dov’è descritto così: “Mas otro quadro de un Heccehomo de zinco palmos con marco de evano con un soldado y pilato che ensena al Pueblo es original de mano de Mi Cael Caravacho”. L’iconografia è conosciuta sin da allora, anche grazie a una copia ritenuta un tempo autografa e forse legata alla produzione di Alonso Rodriguez, che sta al Museo Nazionale di Messina, e da cui deriverebbero le altre versioni siciliane (a Palermo). L’orginale è pervenuto invece come copia di Lionello Spada a Palazzo Bianco, nel 1921, e non sappiamo da quanto fosse in Liguria. Venne considerato di scarso valore e assegnato alla Scuola Navale, dove stava su una scala. Dopo i bombardamenti del 1944 fu ritrovato nelle macerie, riconsiderato e attribuito al Caravaggio, non senza un dibattito critico che non si è mai esaurito completamente (Longhi nella mostra milanese del 1951 lo espose la versione messinese come “copia cruda, ma abbastanza fedele da un’opera tarda del maestro”, riconoscendo nel Cristo un prototipo di Antonella da Messina).
Sebastiano del Piombo, “Ritratto di Andrea Doria”, Roma, Galleria Doria Pamphilj, 1526, olio su tela, 153×107 cm.
Resta però il fatto che, a fronte di una tradizione che vorrebbe riconoscere nel ritratto di Pilato l’immagine del Caravaggio (che però ci appare sempre nelle sue tele radicalmente diversa) il precedente iconografico più vicino è il ritratto di Andrea Doria di Sebastiano del Piombo, che attesterebbe un qualche legame con Genova.
La presenza delle copie siciliane del dipinto potrebbe spiegarsi anche con il fatto, curiosamente da sempre trascurato dalla critica, che nel 1608, epoca del soggiorno del Caravaggio nell’isola, vescovo di Palermo era appena stato nominato il genovese Giannettino Doria, che entrò in città con grande sfarzo nel maggio del 1609, proprio a ridosso di un possibile passaggio del pittore in città per attendere alla realizzazione della “Natività dei Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” trafugata dall’Oratorio di San Lorenzo nel luglio del 1969 e mai più ritrovata (Natività che invece oggi si lega a un dipinto spedito da Roma poco dopo la realizzazione della Cappella Contarelli, secondo un’ipotesi che ha trovato un crescente successo tra gli storici dell’arte, ma che personalmente continua a non convincermi). Giannettino rientrò a Genova nel 1611, e mantenne sempre legami con la città d’origine, il che potrebbe giustificare la presenza del dipinto in Liguria, anche se i passaggi di proprietà non sono documentati. Verrebbe così a cadere l’identificazione dell’ “Ecce Homo” di Palazzo Bianco con quello della contesa tra il Caravaggio, il Cigoli e il Passignano, e dovremmo parlare dunque almeno due dipinti del Merisi con questo soggetto (esistono diverse derivazioni in Sicilia e in Liguria, ad Arenzano, di un’altra impaginazione differente, sviluppata in senso orizzontale, con un linguaggio popolaresco che fa fortemente dubitare che si tratti di un’invenzione del Caravaggio, e che però la critica tende ad avvallare negli ultimi anni come una sua creazione, accreditando così l’idea che le redazioni possano essere tre). Secondo una tesi che oggi, dopo la scoperta del dipinto spagnolo merita una riconsiderazione, il Merisi avrebbe dunque dipinto l’ “Ecce Homo” di Palazzo Bianco a Palermo, nell’estate del 1609, prima di tornare a Roma (la tesi venne, con sfumature diverse, proposta in parallelo da due testi usciti nel 2009, quasi contemporaneamente, la monografia di Francesca Cappelletti e il mio Caravaggio White Album), omaggiando Giannettino Doria col dare a Pilato le sembianze del condottiero Andrea. Il dipinto sarebbe poi tornato in Liguria, confluendo poi, non riconosciuto, nelle raccolte civiche. Ora ci ritroviamo invece con una redazione, a mio parere siciliano e non da porsi in relazione alla commissione Massimo, da cui deriverebbero anche le rielaborazioni pubblicate a suo tempo dalla Gregori, e si riapre completamente il dibattito sul dipinto genovese. Che non fa scuola localmente, non corrisponde strettamente agli stilemi del tardo Caravaggio, ha copie antiche in Sicilia, e continua a sembrare plausibilmente legato a una committenza Doria. Ma se Caravaggio non è mai stato a Palermo, e ha dipinto l’Ecce Homo spagnolo a Messina, come verrebbe da pensare, chi ha realizzato il quadro di Palazzo Bianco?
Sono Piero Donati. Grazie per l’apprezzamento. Possiamo darci del tu? Perchè non ti convince la retrodatazione della Natività di Palermo? Stilisticamente, non lega affatto con i dipinti di sicura datazione al 1609-1610 (il quadrone di Siracusa o la Sant’Orsola dipinta per Genova).
Comunque, una cosa è certa: l’Ecce Homo di Genova non è di Caravaggio e quindi il teatrino messo in piedi nel 2019 dalla Orlando a sostegno di una mostra poggiante su premesse debolissime dimostra tutta la sua fragilità. Fra l’altro, ci vuole del coraggio a spacciare per restauro la manutenzione subìta nel 2003 dal dipinto e pagata dagli organizzatori della mostra alla quale era destinato.
Anche se il dipinto è sporco la qualità della materia pittorica che traspare è mediocre. Si notano delle evidenti incertezze anatomiche: il disegno del naso, dell’orecchio, dei muscoli del collo e della clavicola che escludono, secondo me, la mano di Caravaggio. Nella migliore delle ipotesi è una copia accettabile oppure un’opera del Battistello (il modello del Cristo è il medesimo di altre opere di questo seguace del Caravaggio a Napoli). Un eventuale restauro renderà più evidenti questi difetti.