Un agile libro per conoscere Caravaggio a Siracusa e il Seicento aretuseo
La casa editrice Le Fate pubblica “Caravaggio a Siracusa. Un itinerario nel Seicento aretuseo”, che è al contempo un libro di storia dell’arte e una guida alla città per scoprire Caravaggio e il Seicento nella città siciliana.
Una guida e allo stesso tempo un libro di storia dell’arte: è una pubblicazione originale Caravaggio a Siracusa. Un itinerario nel Seicento aretuseo, a cura di Michele Cuppone e Michele Romano, edito da Le Fate (64 pagine, 10 euro, ISBN 9788894512960), libro che intende portare il lettore alla scoperta delle opere di Caravaggio (Michelangelo Merisi; Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610) e degli artisti del Seicento nella città di Siracusa. Una pubblicazione che compone dunque un vero percorso tra le meraviglie della città siciliana, ma che serve anche per fare il punto sulle ultime novità che riguardano il Caravaggio siciliano e, segnatamente, quello siracusano, di cui si è parlato molto negli ultimi mesi soprattutto in relazione alle polemiche sullo spostamento del Seppellimento di santa Lucia per la mostra che l’avrebbe visto protagonista al Mart di Rovereto (poi l’opera è rientrata in città, e adesso è tornata, dopo poco più di dieci anni, nella sua collocazione originaria: la chiesa di Santa Lucia extra Moenia, nel quartiere della Borgata).
“Sono sette le tappe”, spiega lo studioso Michele Cuppone nell’introduzione del volume, “edifici pressoché tutti religiosi e comunque in Ortigia, ognuna delle quali si concentra su una pittura, secondo un comune modello descrittivo che pone un’attenzione specifica su aspetti non secondari come i soggetti e gli stemmi raffigurati: non si può del resto cogliere appieno il senso e la storia di un quadro, senza conoscere bene cosa raffiguri e chi ne è stato il committente”. Per quanto riguarda i nomi, ampio spazio a Mario Minniti (Siracusa, 1577 – 1640), amico di Caravaggio, a pittori principalmente attivi nel siracusano come Daniele Monteleone, Giuseppe Reati e Onofrio Gabrieli, e infine a due ulteriori figure che vengono ricordate in appendice, ovvero Agostino Scilla, che affrescò la Cappella del Santissimo Sacramento in Cattedrale, e Andrea Sacchi, uno dei massimi esponenti della pittura romana del Seicento, che fu maestro di Scilla.
La trattazione si apre con una rapida biografia di Caravaggio, che ovviamente si concentra per lo più sul periodo siciliano: Caravaggio giunse nell’isola (a Siracusa) nel 1608, dopo essere fuggito da Malta, dove era diventato Cavaliere di Obbedienza, salvo poi esser stato arrestato e rinchiuso nel carcere di Forte Sant’Angelo per il suo coinvolgimento in una violenta rissa. In qualche modo (non sappiamo bene come andarono le cose) Merisi riuscì a evadere dalla fortezza e a riparare a Siracusa, dove fu ospite dell’amico fraterno Minniti, che gli avrebbe procurato anche una commissione importante: quella del Seppellimento per la chiesa della Borgata. Il libro ricorda come Caravaggio abbia visitato anche le latomie, e come spetti a lui il merito d’aver coniato per una di queste ultime il toponimo “Orecchio di Dioniso” (le notizie vengono riportate dall’erudito locale Vincenzo Mirabella nelle sue Dichiarazioni della Pianta dell’antiche Siracuse, e d’alcune scelte Medaglie d’esse, e de’ Principi che quelle possedettero del 1613). Lasciata Siracusa, Caravaggio si trasferì poi a Messina dove dipinse la Resurrezione di Lazzaro e l’Adorazione dei pastori, anche se le fonti parlano di un’attività molto prolifica. Un’altra rissa, con un maestro di scuola, portò il pittore ad abbandonare anche Messina: le fonti ricordano una tappa a Caltagirone (dove Caravaggio sarebbe stato affascinato dalla Madonna della Catena di Antonello Gagini) e una a Palermo, anche se non sappiamo con certezza se il pittore sia effettivamente passato dal capoluogo (la Natività dell’Oratorio di San Lorenzo, il quadro trafugato nel 1969, secondo gli studi più recenti venne realizzato a Roma nel 1600 e poi inviato nella città siciliana).
Il capitolo successivo del libro approfondisce l’amicizia tra Caravaggio e Minniti: il lombardo probabilmente conobbe l’artista siracusano nella bottega di Lorenzo Carli, pittore siciliano attivo a Roma (dove scomparve nel 1597) sul finire del Cinquecento. Le notizie sull’inizio della loro amicizia sono però confuse e di seconda mano: un’ulteriore ipotesi vuole infatti che i due si siano conosciuti a Palazzo Madama, dove Caravaggio fu ospite, a partire dal 1597, del suo primo importante mecenate, il cardinale Francesco Maria del Monte. Il volume è anche occasione per rigettare la congettura secondo cui Minniti sarebbe stato il modello dei quadri di Caravaggio di fine Cinquecento (come il Ragazzo con canestra di frutta e il Suonatore di liuto), un’ipotesi a lungo battuta dalla critica: “Anzitutto”, spiega Cuppone, “a quella data così tarda e in assenza di altri ritratti noti di Minniti, quest’unico potrebbe benissimo essere di invenzione. Ma soprattutto, i tratti somatici riprodotti sono piuttosto vaghi e, pertanto, è molto opinabile il confronto con i modelli caravaggeschi. Infine, una supposta convivenza di Caravaggio e Minniti ha offerto la sponda a quanti sostengono l’omosessualità del primo. La conclusione, che naturalmente non aggiunge né toglie nulla al valore del grande lombardo, non è a ogni modo suffragata dai documenti, da cui si evincono comunque le frequentazioni femminili sia dell’uno sia dell’altro”. Dai documenti, semmai, sappiamo che Minniti si sposò (il 2 febbraio 1601, con Alessandra Bertoldi). Frammentarie sono anche le notizie sull’amicizia, ma dal poco che abbiamo possiamo comunque ipotizzare un rapporto particolarmente stretto al punto che, all’arrivo di Caravaggio a Siracusa, fu proprio l’amico Minniti ad accoglierlo.
Segue un lungo saggio di Cuppone sul Seppellimento di santa Lucia, che si apre col rimando alle fonti antiche, seppur non contemporanee: l’attestazione più precoce è sempre la pubblicazione di Mirabella, ma la fonte primaria è Giovan Pietro Bellori, che nel 1672 scrive: “Pervenuto in Siracusa, fece il quadro per la Chiesa di Santa Lucia, che stà fuori alla Marina: dipinse la Santa morta col Vescovo, che la benedice; e vi sono due che scavano la terra con la pala per sepelirla” (il racconto più esteso è invece quello restituito da Francesco Susinno nel 1724). Nell’elencare le fonti storiche, Cuppone ne presenta molte poco conosciute, trascurate o addirittura travisate e comunque tutte piuttosto interessanti. Resta il vuoto documentario che non consente di chiarire in modo più preciso le vicende che portarono alla nascita del dipinto (benché si possa smentire la notizia riferita negli ottocenteschi Annali di Siracusa di Giuseppe Maria Capodieci, e riportata poi passivamente da tutti gli studiosi successivi, secondo cui committente dell’opera sarebbe stato il vescovo Orosco II: andando infatti a rileggere il manoscritto originale, Cuppone ha verificato che Capodieci non faceva riferimento a Merisi, ma a un altro, ignoto artista).
La descrizione del dipinto è funzionale a chiarire alcuni aspetti iconografici che sono stati a lungo oggetto di discussione. Intanto, l’ambientazione: Cuppone afferma che è difficile localizzare con precisione la scena, nonostante in passato ci siano stati tentativi di riferire il Seppellimento a luoghi reali. Secondo lo studioso, l’impianto del dipinto potrebbe derivare dalle Crocifissioni rinascimentali: il compianto su Lucia, scrive Cuppone, “alla probabile presenza della madre, si rifarebbe a quello di san Giovanni evangelista su Cristo, accanto alla Madonna. Vi sono difatti analogie nella caratterizzazione dei personaggi, laddove per quello nel dipinto siracusano, giovane e glabro […], sono adottati i colori tradizionali del più giovane fra gli Apostoli. Difatti, accanto al più evidente rosso del manto, si ripropone il verde della veste: quest’ultimo, sia pur nella sua tonalità piuttosto scura, lo si può osservare più attentamente nelle poche parti in luce. Più avanti nel tempo, peraltro, il verde in particolare si consoliderà come associato alla santa, nella devozione locale”. Un ulteriore particolare oggetto di lunghe e appassionate discussioni è l’identità del giovane con un manto rosso che, con le mani intrecciate, in piedi, guarda Lucia mentre viene sepolta. Tradizionalmente è stato identificato come un diacono, dato che il mantello somiglia molto a una stola: è difficile tuttavia restituire un’identità a questo personaggio, anche se Cuppone formula una nuova ipotesi. Secondo alcune agiografie, prima di morire santa Lucia sarebbe stata raggiunta dal vescovo di Siracusa assieme a tutto il chiericato (secondo altre versioni del racconto, assieme a tutto il clero siracusano). La figura del vescovo è quella che notiamo sulla destra, e pertanto il giovane, invece che un diacono, potrebbe essere un chierico “e rappresentare così il clero aretuseo, accorso sul luogo del martirio”, suggerisce Cuppone, auspicando approfondimenti su questa idea, e pur riconoscendo che l’osservazioni delle vesti indossate dal giovane parrebbe non confortare del tutto l’ipotesi. Infine, un ultimo elemento su cui discutere è il personaggio in armi, talvolta identificato come il prefetto Pascasio, che condannò la santa al supplizio: tuttavia, secondo alcune agiografie il prefetto sarebbe stato condannato a sua volta prima che la santa subisse il martirio. Se Caravaggio seguì queste fonti, l’identificazione può dunque essere confutata.
Il libro è anche occasione per riepilogare lo stato di conservazione del dipinto, tema di stretta attualità (l’opera è stata anche oggetto di un esame dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma nel giugno 2020, da cui è emerso che il dipinto, l’estate scorsa, versava in uno stato definito “discreto”, ma era comunque bisognoso di manutenzione). La tela ha comunque molto sofferto (è forse l’opera di Caravaggio più martoriata), per effetto dell’ambiente umido in cui è stata conservata per secoli, e per le manomissioni antiche. “Diversi volti di personaggi e altri dettagli”, ricorda Cuppone, “non sono più quelli originali: andati perduti, ne vediamo il rifacimento dei restauri più antichi. Nella tela pervenutaci anch’essa, potremmo dire, martoriata, Lucia si conserva meglio per la metà superiore del corpo. Il resto, risulta oramai evanescente al punto che, involontariamente, è amplificato il senso di rassegnazione e inquietudine che il quadro trasmette”. Vengono poi elencate tutte le copie antiche dell’opera, a dimostrazione dello straordinario successo del capolavoro di Caravaggio.
Nel libro c’è spazio anche per una biografia di Mario Minniti, redatta da Nicosetta Roio. Minniti, nato a Siracusa nel 1577, lasciò intorno al 1592 la città natale, fuggendo su una galea dei Cavalieri di Malta (anche se non sappiamo il perché), e riparò proprio a Malta, protetto verosimilmente dai cavalieri. Secondo Roio, sull’isola Minniti avrebbe maturato le sue prime esperienze artistiche, formandosi col fiorentino Filippo Paladini, presente a Malta dal 1590 circa. Lasciata l’isola del Mediterraneo, Minniti arrivò a Roma, probabilmente tra il 1595 e il 1596, periodo in cui nei documenti romani comincia a esser menzionato anche Caravaggio. “Nell’Urbe”, scrive Roio, “la passione di Minniti per il disegno non era diminuita, sembra infatti che vi si esercitasse di notte rinunciando al sonno, per recuperare il tempo che riteneva sprecato di giorno ‘sgrossando pitture’, anche se quel lavoro poco creativo gli dava da vivere. Assieme all’amico lombardo capitava di lavorare per altri analoghi artisti-imprenditori dello stesso rione; in seguito, benché ancora ‘poveretti’”, sarebbero andati a convivere abbandonando la bottega di Lorenzo Carli, e avrebbero cominciato a frequentare la cerchia del Cavalier d’Arpino. Durò dieci anni la permanenza di Minniti a Roma (durante la quale, come ricordato, ebbe anche modo di sposarsi): è di nuovo attestato in Sicilia nel 1605, a gennaio, secondo un documento pubblicato recentemente da Cuppone. Tra il 1608 e il 1614 mancano documenti che attestino la presenza di Minniti in Sicilia: probabilmente in questi anni compì diversi ritorni a Malta. Tuttavia, in Sicilia l’artista ritrovò Paladini e rivisitò il suo stile, orientandosi verso “atmosfere semplici e quiete legate emotivamente al mondo baroccesco e a quello romano post-raffaellesco del Cavalier d’Arpino, mentre più superficiale risulta il nesso delle sue pitture con la potente espressività caravaggesca”. Artista prolifico, benché, rileva Roio, alla quantità della sua produzione non corrisponda un costante livello qualitativo (una caratteristica già rimarcata dalle fonti antiche), Minniti lavorò fino al 1637, anno in cui è documentata la sua ultima opera, e si spense a Siracusa il 22 novembre del 1640.
Dopo la biografia di Minniti, comincia la “guida” all’itinerario artistico di Siracusa, con tanto di mappa che indica al lettore la localizzazione dei siti da visitare. La lunga sezione sull’itinerario del Seicento aretuseo è affidata a Michele Romano, che nel percorso include le chiese di San Benedetto, di Santa Maria della Concezione, di San Filippo Neri, di San Pietro al Carmine, di Santa Lucia alla Badia, la Galleria Regionale di Palazzo Bellomo e il Collegio dei Gesuiti, e poi ancora la Cattedrale, la Basilica di Santa Lucia al Sepolcro e la Latomia del Paradiso (altrimenti nota col celebre toponimo “Orecchio di Dioniso”). Per ognuno dei luoghi vengono indicate le opere presenti, ognuna con relativa scheda che fornisce notizie storiche, indicazioni sul soggetto, analisi dell’opera, riferimenti bibliografici: i nomi spaziano da Mario Minniti a Daniele Monteleone, da Giuseppe Reati a Onofrio Gabrieli.
Agile, pratico manuale alla portata di tutti, guida economica per il viaggiatore colto e desideroso d’approfondire, sunto delle vicende del Seicento aretuseo, affondo sul soggiorno siracusano di Caravaggio: un’operazione di sicuro interesse, magari da replicare per altre destinazioni.