Viaggio sulle tracce di Caravaggio (da “Avvenire”)

Pubblichiamo un’intervista a Michele Cuppone, curatore assieme a Michele Romano del libro Caravaggio a Siracusa. Un viaggio nel Seicento aretuseo. L’articolo, a firma di Maria Teresa Ciprari, è stato pubblicato nell’edizione del 5 luglio 2020 di Lazio Sette, inserto redazionale del quotidiano Avvenire.

Nel libro Caravaggio a Siracusa. Un viaggio nel Seicento aretuseo, pubblicato da Le Fate editore e appena presentato al pubblico nella bella cornice di piazza Duomo, nell’antica Ortigia, il ricercatore e studioso di Caravaggio Michele Cuppone dedica un capitolo al dipinto custodito nella chiesa di Santa Lucia alla Badia, capolavoro siciliano di Michelangelo Merisi.

Da dove scaturisce il suo interesse per Caravaggio e in particolare in questo volume per il “Seppellimento di santa Lucia”?

«L’interesse per l’artista nasce da lontano, mi verrebbe quasi da considerarlo innato. È a ogni modo legato indissolubilmente alla potenza e alla bellezza dei suoi capolavori, unite al fascino della sua vita breve ma intensa. Da diversi anni comunque la passione è diventata un vero studio. Molto mi sono dedicato in particolare alla “Natività” rubata a Palermo nel 1969, su cui ho appena pubblicato un saggio con l’editore Campisano. È per questi approfondimenti sul quadro disperso, siciliano per ubicazione ma dipinto a Roma nel 1600, che il Museo Bellomo di Siracusa mi ha coinvolto nel 2015 in un progetto multimediale sul “Seppellimento di santa Lucia”. Pochi mesi fa, Michele Romano mi ha invitato a curare una pubblicazione proprio su questi temi. Ciò mi ha consentito di condividere alcune acquisizioni maturate nel tempo, accanto ad altre dell’ultima ora, peraltro su un quadro tra i miei preferiti».

Può descrivere questa tela?

«Michelangelo Merisi la dipinge nell’autunno 1608, nel suo breve soggiorno a Siracusa. La città costituì il primo e naturale approdo dopo l’evasione da Malta: poco dopo la tanto agognata nomina a cavaliere, era stato incarcerato per aver preso parte a un non meglio specificato “tumulto”. Messosi all’opera, il suo genio senza eguali si manifesta ancora una volta nel fissare un momento tra i meno rappresentati della vita della santa, appunto la sepoltura. Nella metà superiore del dipinto, compaiono solo nude e alte pareti, in una severa monotonia spezzata da due arcate che inscrivono una porta. Più in basso, una “religiosa plebe” è disposta attorno a Lucia, malamente abbandonata a terra. Ma più risalto è dato ai becchini ai lati della martire, che hanno anche la funzione di raccordare lo spettatore alla scena. Davanti a questa grande tela, nell’atmosfera raccolta e i colori smorzati, diventiamo subito partecipi del dramma umano e religioso. Ancora una volta, l’artista ha colpito nel segno».

Il dipinto ha avuto una notevole fortuna copistica.

«Già nel 1724 il biografo Francesco Susinno scrive che “riuscì di tal gradimento questa tela che comunemente vien celebrata”. E aggiunge appunto che in tutte le città del Regno di Sicilia “se ne veggono molte copie”. Nel libro appena edito Caravaggio a Siracusa. Un itinerario nel Seicento aretuseo presento ben otto riproduzioni del capolavoro caravaggesco, per la prima volta tutte a colori e alcune inedite. Esse, assieme ad altre tre copie, di cui non disponiamo di immagini ma che sono citate per lo più in documenti seicenteschi, testimoniano un successo dell’opera che si spinge fino in Spagna».

Per le sue ricerche Lei ha avuto modo di vedere la copia custodita a Palestrina. Come valuta quest’opera?

«È un quadro piuttosto interessante, che riproduce l’originale fedelmente e in scala ridotta (150×123 cm, contro 401,5×295,5). È tutto sommato ben conservato, ma sarebbe necessario un minimo intervento di pulitura per rimuovere le vernici ossidate, che causano il generale effetto di ingiallimento. Lo considero una copia antica e direi seicentesca, che permettere di rivedere dettagli spariti nel dipinto originale, deterioratosi irrimediabilmente in alcune aree. Significativa in tal senso è la compresenza della palma del martirio posta nella mano della santa, e del suo piede destro: gli elementi sono altrimenti entrambi assenti nelle copie sette-ottocentesche, perché appunto già pressoché perduti o comunque illeggibili a quel tempo, anche a causa di restauri malaccorti oltre che per l’umidità della chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, che ha ospitato per secoli il Caravaggio».