La Natività di Caravaggio nelle mani della mafia (da “Il Tempo”)

Il quotidiano Il Tempo, nell’edizione odierna, recensisce il volume di Michele Cuppone Caravaggio. La Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro (Campisano Editore). L’articolo di Maurizio Gallo.

Il suo valore è inestimabile. La sua scomparsa, dopo mezzo secolo, è ancora avvolta dal più fitto dei misteri. Di certo c’è solo che il quadro venne rubato nell’ottobre del 1969. Neppure il giorno è stato accertato con precisione. Si sa soltanto che il pubblico lo aveva potuto ammirare per l’ultima volta domenica 12. Ma da allora «La Natività» di Michelangelo Merisi da Caravaggio è sul «podio» della «Top Ten Art Crimes», la classifica dell’Fbi dei dieci furti d’arte più importanti al mondo.

La storia dello «scellerato furto» viene raccontata nel libro «Caravaggio, la Natività di Palermo» di Michele Cuppone (Campisano editore). Il dipinto, realizzato a Roma, scomparve dall’Oratorio della Compagnia di San Lorenzo e non fu mai ritrovato. Cuppone analizza tutte le piste investigative, costellate da dichiarazioni di «pentiti» di mafia, scartando quelle meno verosimili e basandosi soprattutto sulla ricostruzione fornita nel 2018 dalla Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi. Ci furono richieste di riscatto per il capolavoro, che i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale hanno classificato come «pratica 779», ma si rivelarono millanterie. Come oggi si definirebbero fake news le testimonianze del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, il quale «rivelò» che la tela era stata mangiucchiata da topi e maiali e, quindi, bruciata. Un suo «collega», Salvatore Cancemi, disse invece che il quadro era finito nelle mani di Totò Riina, versione smentita da un terzo pentito, Francesco Marino Mannoia.

Le ricerche di Cuppone lo hanno convinto che l’ipotesi investigativa più credibile è che la Natività venne trafugata, forse su commissione, da una «batteria» di ladri «un po’ incoscienti e probabilmente inconsapevoli» del suo reale valore. I nomi li fece nel 1996 Mannoia, che sarebbe stato coinvolto in prima persona nell’operazione. Un colpo facile. L’oratorio non aveva sistema d’allarme e «bastò forzare le imposte, per giunta difettose, delle finestre con affaccio su via Immacolatella», scrive l’autore del libro. Il quadro venne tagliato, estraendolo dalla cornice, che era stata fissata nel corso di un restauro degli anni ’50, «esclusivamente tramite la tela di rifodero», caricato su un camion Fiat 642 e non su una Moto Ape, come si è detto più volte. A questo punto, pare che il dipinto subì una serie di trasferimenti, difficili da ricostruire, nelle case dei ladri. L’ultimo «indirizzo» noto era l’abitazione di uno di loro, Pietro Vernengo, che l’avrebbe custodito all’interno di una ghiacciaia in disuso in una «casa diroccata» vicino il quartiere di Brancaccio e l’avrebbe fatto visionare a un potenziale acquirente, un romano o un milanese. Il mercante si adirò con i ladri per come era stato conservata la tela e li apostrofò con l’epiteto: «criminali!». «Tanto quello inveì contro i malviventi – scrive Michele Cuppone – che uno di loro andò su tutte le furie ed era intenzionato a strangolarlo seduta stante», ricorda l’ispettore di polizia Maurizio Ortolan, che ascoltò con Giovanni Falcone la prima deposizione di Mannoia. L’acquirente se ne andò senza l’opera, che nel frattempo era finita nel mirino del boss che rappresentava tutte le famiglie siciliane, Gaetano Badalamenti (quello dei «Cento passi»). «Tano» dette ordine al suo braccio destro Gaetano Grado di rintracciarla. E la mafia arrivò dove lo Stato non era riuscito ad arrivare. I «picciotti» raggiunsero uno dei ladri e si impossessarono della Natività, pagandola 4 o 5 milioni di lire. E «U Caravaggiu» giunse nelle mani di Badalamenti a Cinisi. Si sa che ci furono nuove richieste di riscatto, decisamente più ingenti delle prime. E sulle tracce del capolavoro si mise anche il mitico detective d’arte Vincenzo Scuderi. Ma la strada della «trattativa» venne abbandonata perché non si poteva venire a patti con Cosa Nostra.

Le ultime notizie dell’opera che Caravaggio dipinse nella capitale mentre lavorava alle storie di San Matteo nella chiesa di San Luigi dei Francesi, raccontavano che era in possesso di un trafficante svizzero, dalle parti di Lugano. Il percorso Italia-Svizzera-Stati Uniti è un classico nei furti d’arte, i carabinieri del Tpc ne sanno qualcosa. Tempo fa, inoltre, la «pista elvetica» parve rafforzarsi. Il mercante venne identificato da Grado attraverso un riconoscimento fotografico. Ma l’uomo, ormai, è morto da alcuni anni e il reato di furto è prescritto, ricorda Cuppone. Comunque, precisa l’autore, «tanti restano gli scenari possibili». E, «nel momento in cui viene data alle stampe la presente pubblicazione, si apprende che siamo vicini a far ripartire le indagini attraverso una rogatoria internazionale, che coinvolga più direttamente la Svizzera». Ci uniamo all’augurio dell’autore, sperando che il suo libro, come scrive lui stesso, ci aiuti a riflettere «sulla precarietà della bellezza e sul reale significato di concetti come patrimonio collettivo e appartenenza a una comunità, che si basano anche sui prodotti della creatività dell’uomo».